#Serenacomevenezia

La solitudine costruttiva

E’ da un pò che avevo in mente di scrivere qualcosa sulla solitudine.

La settimana scorsa ho ricevuto la newsletter mensile di Gynepraio, https://gynepraio.substack.com/p/marzo-2023, la cui prima parte era dedicata alla fatidica domanda sul fatto che l’indipendenza sia un peso o un valore, come conseguenza di un processo di crescita in cui la tua rete familiare e non si sviluppa in altre trame che non ti vedono non solo protagonista, ma manco comparsa.

Non credo che all’ottima Valeria, che di Gynepraio è mente cuore e braccio dispiaccia se riposto le sue interessanti riflessioni, e prenda spunto per sputare fuori un po’ del mio pensiero.

Ho 40 anni compiuti, sono single, non ho figli.

Per molti sono un paria della societa’. Non tutti lo dicono, l’onestà intellettuale è cosa rara di questi tempi, molti so che lo pensano, me ne accorgo quando mi parlano e dicono le cose così, fuori senza pensare.

Per altri, in genere il mio target sono le donne che incontro e che trovo nell’esatto momento in cui hanno litigato con il marito,sono il destinatario sommo della loro “invidia” .

Infine, cosa successa per la prima volta in vita mia, due settimane fa, mentre mi trovavo nella sperduta cittadina di campagna di Galanta, in Slovacchia, Jade, la coreana che gestiva la struttura in cui alloggiava il mio gruppo, dopo essersi preoccupata per me come una madre, avermi cucinato i noodles, preoccupata perchè non mangiassi sufficientemente, mentre cercavo di spiegare agli autisti che non andava bene se si presentavano con i jeans sdruciti e rotti, con il cellulare stretto fra spalla ed orecchio e liste dall’altra, mi aveva sibilando-, poco dopo averle detto che no, non ero sposata, e no, non avevo figli, “You’re privileged”, mentre spariva a rifarsi il trucco e sistemarsi i capelli lucenti

Addirittura. Da paria a – la più invidiata del reame a Privilegiata.

Privilegiata anche quando sono in trasferta, torno stanchissima, ed a parte mia sorella e mia madre nessuno mi chiede se mi serva un passaggio dall’aeroporto?

Privilegiata quando si fanno le liste delle persone invitate e tu compari nell’excel sempre e solo come Ele Baudy: 1?

Privilegiata anche quando ci sono i momenti di merda, e vorresti che qualcuno ti dicesse : “Dai, raccontami, ci penso io.”

Privilegiata anche quando ci sono le feste di Natale, e tu ti senti come un cane abbandonato.

Privilegiata anche quando ti senti molto semplicemente solo.

Perchè diciamocela tutta, certa solitudine fa schifo.

Privilegiata però quello è vero, sarei ingrata a non pensarlo, e poco intelligente , ed io non mi reputo nè l’uno ne’ l’altro.
Perché ho una rete molto vasta familiare e non, costruita in tante pelli in cui ho abitato, in tante case e cose che ho costruito, nelle radici che tengono ben saldo il mio tronco.

Pero’ scavando scavando, continuando a fami domande mentre mi scompongo in mille pezzi, mi sono resa conto di non avere paura della solitudine “affettiva” nel senso stretto del termine, ma mi sono resa conto di avere paura che un giorno tutti gli altri che compongono la mia vasta rete siano occupati giustamente dai loro pezzi di vita, da cui io sono per forza di cose esclusa, e non abbiano   tempo per me.

Ecco, questa e’ la solitudine che io definisco cattiva. E che ho sperimentato ricordo, in Kenya nel 2013; seppur circondata da una vegetazione florida, da animatori, staff, ospiti, e da un Paese che si offriva a me come un anacardo poco maturo, ricordo di aver passato molto tempo da sola, perché mi sentivo molto sola. Gli unici alleati erano Mel, front office manager preciso e preparato, Stefania, la mia responsabile che dopo avermi cazziata e strigliata per quattro mesi mi aveva detto che ero pronta ad avere un centro tutto per me, e Daniela che. rimasta folgorata dal Kenya dopo un safari fatto per gioco, aveva salutato la grigia Milano con un fax e si era trasferita in quel Paese di cui conosceva ogni singola piega, e che mi raccontava con occhi sognanti. Ma loro avevano il loro lavoro, le loro cose, chi la fidanzata, chi un compagno, chi lo yoga. Non avevano tempo di fare da dame di compagnia a me.

E così mi ero messa ad andare per musei da sola, a vedere le rovine di Guede, fare un giro nei mercatini, a correre con i masai, a bere gli aperitivi in solitudine al Pilipan guardando il tramonto, mentre facevo delle foto di merda, a fare domande sui diversi tipi di mangrovie che crescevano in quell’angolo d’Africa, a guardare il cielo da quel fazzoletto di terra fra la mia stanza e la reception.

Di fronte all’impopolarità che sperimentavo perché non ero invitata dai soliti circoletti di italiani che facevano le feste in piscina, tutti vestiti di bianco e tutti uguali, mi ritrovavo quindi ad essere indipendente, a soddisfare la mia curiosità altrove, a godere della mia stessa compagnia.

Stavo imparando a trasformare la solitudine cattiva in solitudine costruttiva.

Quella che a volte non vorrei, ma che oggi mi capita quando le mie persone hanno le loro “altre” cose. Quella che io scelgo oggi volontariamente, in cui scrivo, leggo, studio, cambio armadio, viaggio da sola. In cui scopro pezzi di me -alcuni non li sopporto, ma che ci posso fare, altro non so fare se non accettarli ed abbracciarli. Ma soprattutto, sto imparando a non farmi attrarre dal cammino altrui, ed a ben guardare dove metto i miei, di piedi.

E’ un percorso lento, faticoso ma bellissimo, non sono neanche arrivata al campo base del Nanga Parbat, ma sento che la strada è quella giusta: in montagna alleno i glutei, con i cruciverba alleno il cervello, con i muscoli della bocca mi alleno alla felicità, con la solitudine costruttiva alleno Elena a contare (oltre sulla sua rete, che a volte pero’ potrebbe trovarsi in altro indaffarata) anche e prima di tutto su di lei.

2 commenti

  • Emanuela

    Come sempre ,grazie per le tue parole.
    Questa solitudine appartiene anche a me…ci sono momenti che il cammino è più difficile…o forse si dubita maggiormente. Ma ne vale la pena.
    Un abbraccio anima bella.

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