#Serenacomevenezia

Un te’ nero, grazie.

Siamo tutti consapevoli che nella nostra vita di tutti i giorni siamo circondati da persone.

Perché l’uomo è un animale sociale.

Perché nonostante diciamo e sosteniamo a gran voce: “Vorrei stare su un’isola desertica e non vedere nessuno”, quanto può durare questo nostro utopico progetto?

Una settimana? Dieci giorni? Due settimane senza amici, connessioni, familiari, per poi ritrovarsi a scrivere sulla sabbia una grossa ICS sperando che un aereo ci trovi?

Quindi siamo tutti d’accordo che siamo consapevolmente circondati da persone.

Ma è altrettanto vero che non tutte le persone che ci circondano siano consapevoli: di dove sono, cosa fanno, come gira il mondo etcc.

E sono fra le categorie che a me fanno girare più le palle: perché vivono bene alle spalle degli altri. O meglio del mondo intero. E consapevoli della loro inconsapevolezza (che possiamo definire comodità o rincoglionimento a seconda dei casi), in qualche modo influenzano anche il comportamento di chi li circonda.

C’è chi ce la fa.

Tutti ne conosciamo qualcuno, che a volte ci fa tanto ridere, ma anche tanto incazzare.

Io ne ho conosciuto tanti, questo è il bello dell’essere un animale sociale.

I villaggi ne erano pieni, di entrambe le categorie: comodi e rincoglioniti (ma anche di gente normale, intendiamoci, anzi direi per la maggior parte). Ma come in tutti i mondi possibili, in tutti i ricordi possibili, non resta ciò che piace, resta ciò che resta, e basta. Altrimenti non si spiega perché sia la cozza a restare attaccata allo scoglio e non che so, un cavalluccio marino.

Un pomeriggio arrivo’ in ufficio un ospite, che era in villaggio con la famiglia, moglie e due figli. Era un medico, aveva avuto un’emergenza in ospedale, e doveva rientrare in Italia. Ci chiese pertanto di trovargli un posto di rientro sul primo volo disponibile.

Perfetto, non c’è problema” disse la stoica Anna.

Dopo un’ora circa, torno’ il medico. Ci disse che la moglie aveva fatto storie, e preferiva rientrare insieme al marito ed i figli. Non se la sentiva di stare in villaggio sola. Anziché un posto, ne dovevamo trovare quattro.

“Nessun problema, perfetto.”, disse Anna.

Ora, capitava di fare rientrare la gente, per emergenze vere.

Ma di quell’emergenza, a parte quella reale del marito, tutto il resto era superfluo. Molti di voi forse non hanno mai fatto una vacanza in villaggio, ma in soldoni funziona così’.

Tu compri un pacchetto turistico, prendi un aereo, trovi qualcuno che ti viene a prendere in aeroporto e ti carica su di un bus, puoi stare una settimana con i piedi sotto il tavolo a pranzo, cena e colazione, se vuoi interagire con gli animatori e /o fare delle escursioni, troverai sempre delle magliette colorate in giro, quando è ora di ripartire, se non vuoi perdere 5 minuti di vacanza a fare la riconferma volo, ti trovi il biglietto in camera, ti presenti fuori dalla reception all’ora che ti dico, sali su di un bus, e riprendi un aereo per tornare a casa. Fine della storia.

La signora si trovava già al paragrafo finale, ma aveva deciso che la storia non era più di suo gradimento, e per comodità e zero voglia di sbattimento aveva mandato il marito a terminarla imponendogli il suo finale, perché quello di lui proprio non le piaceva.

Ecco un esempio della inconsapevolezza che diventa comodità’.

Oppure a volta l’inconsapevolezza diventa rincoglionimento. Tutti ne conosciamo qualcuno, che a volte ci fa tanto ridere, ma anche tanto incazzare. A meno che non siamo noi quel qualcuno.

Nel 2006 ero in Erasmus, a Leicester in Inghilterra.

Cittadina famosa ieri perché ospitava la più grande comunità indiana ed il più grande mercato coperto del Regno Unito.

Oggi perché la loro squadra di calcio esattamente dieci anni dopo fu protagonista di una delle favole più belle del mondo sportivo.

http://www.ansa.it/sito/notizie/sport/2016/05/01/leicester-rinvia-la-fetsa-a-manchester-finisce-1-1_70bada56-9b65-4285-8b69-60205d15945a.html

Non mi voglio dilungare su aspetti o episodi, alcuni dei quali sono stati dettagliati nelle mie email che impazzavano fra amici e parenti: si narra di negozi i cui titolari chiudevano anzitempo le serrande per poter godere di quei 3 minuti di delirio verbale non sempre comprensibile, mi rendo conto.

Quella sera, io e molti altri ci trovavamo a casa di alcuni amici inglesi.

Come quasi tutte le sere, avevamo fatto tardi, e tutti se ne erano andati. Tutti tranne me, che resistevo stoica nel mio tirare tardi.

Ad un certo punto, uno dei ragazzi che ci ospitavano, propose di fare del te’. Erano le cinque del mattino, buona idea, pensai.

Dopo poco, arrivo’ Karoona, la mia amica mezza inglese e mezza mauriziana, con una vita degna di una soap opera (un giorno era disperata, un giorno felice. Inconsapevole a suo modo).

Mi chiese anche lei se volevo del te’. Dissi di si grazie, senza pensare alle condizioni igieniche in cui versava quella casa.

Dopo pochi secondi, ne arrivo’ un altro. “Elena, are you sure you want tea?”

Ma insomma, pensai, quanto chiasso per una tazza di te’, eccheccavolo, dopotutto è acqua sporca, e chissà quanto poi sporca, visto il lavandino. Mi arrivo’ finalmente la tazza di te’ fumante fra le mani, e me la bevvi con gusto.

Dopo poco la festa termino’, saranno state le sei, e decisi di tornare a casa. Mi avviai a piedi, come facevo spesso. Ed attraversai il parco, scorciatoia per arrivare a casa. Mi sentivo leggera, tutta arzilla, la testa per aria, un pò alla goga-mi-goga (termine che io uso quando voglio significare che si sta facendo festa). 

Arrivai a casa, ed andai a dormire. Il giorno dopo chiamai Veronica, per raccontare la fine della festa.

“E niente, poi verso le cinque ci siamo fatte il te'”.

“Il te’? tu?”

“Si, il te’, perché’? E poi loro si sono esaltati per ‘sto te’, io non capisco, in fondo era solo acqua.”

“Cretina, perché secondo te cosa c’era dentro?”

Allora mi insinuarono il tarlo. Feci due più due, ripensando a taluni soggetti che avevo in effetti visto bazzicare la casa, e poi quell’esaltazione per del semplice te’. *

Ero stata proprio rincoglionita, e quella fu una delle tante volte nella mia vita in cui l’etichetta di inconsapevole resto’ appiccicata alla mia testa.

Ma come in tutti i mondi possibili, come in tutti i ricordi possibili, non resta ciò che piace, resta ciò che resta, e basta. Se poi piace, tanto meglio. Se non piace, male che vada ci scappa una sana e consapevole risata.

Foto sgranata, archivio dell’Erasmus, UK 2016

Attenzione, preciso che in quel te’ non c’era nulla di illegale, sia chiaro.

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