#Serenacomevenezia

Impara le regole come un professionista, in modo da poterle rompere come un artista. (Pablo Picasso)

Qualche giorno fa, mentre cazzeggiavo su Facebook, cercando di fare passare l’appassionante ora e mezza di regionale veloce che mi separano da casa, mi sono imbattuta in un articolo sulla storia d’amore fra Katharine Hepburn e Spencer Tracy.

A me le storie d’amore piacciono tutte. Ufficiali, semiserie, torbide, impetuose. Ma mi piace ancora di più l’happy ending. Che non sempre è la destinazione finale, ma di certo aiuta (noi) tutti a credere che tutto quello che facciamo, tutto quello che sentiamo, inclusi sconquassamenti, mancanza di appetito, di sonno, di lucidità, possa valere la pena.

Non potevano che essere più diversi, Katharine e Spencer.

Lui e Lei

Lui devoto cattolico, sposato ad una moglie che sapeva, e per quieto vivere taceva.

Lei di famiglia progressista, femminista convinta, che combatteva per i suoi ideali.

Alta quanto lui. Ricca quanto lui. Che a lui teneva testa.

Fu una storia di cui tutti sapevano, ma di cui nessuno parlava.
Si diceva che fosse una storia pruriginosa nata per coprire la presunta omosessualità di entrambi. A distanza di anni, le cose non sono poi  molto cambiate, mi pare.

Solo perchè lui aveva promesso amore eterno ad una donna, e poi nel tempo si era innamorato di un’altra.

Solo perchè lei rifiutava invece quella promessa di amore eterno. Scegliendo invece di vivere il tempo che lui le concedeva quando non stava con la moglie.

“Se segui tutte le regole,  ti perdi la metà del divertimento.”

Fu una delle sue frasi celebri, pronunciata mentre usciva in mutande dal camerino, mostrandosi in tutta la sua nudità’ (per l’epoca) a tutto lo staff che la guardava impazzita, protestando perché’ aveva scoperto che le avevano nascosto i suoi pantaloni di taglio maschile.

Io sono una che segue le regole. Non perchè le ami in particolar modo, ma perchè penso che se esistono, un motivo ci debba essere.

Questo non esclude il fatto che ci provi, non ad infrangerle, ma ad aggirarle. Perchè aggirarle, in qualche modo, legittima la tua furbizia, e scansa ogni equivoco sulla tua onesta’(?). O no?

Aeroporto Schiphol di Amsterdam, giugno 2013.

Io e le colleghe eravamo in città per un congresso europeo di infermiere di una casa farmaceutica.

Io mi occupavo della segreteria e dell’aeroporto, tradotto in parole povere: mesi di sudate a gestire vari cambi operativi, nomi e presenze, e poi sbattuta in aeroporto per delle ore ad accogliere gli ospiti in arrivo- anche se a dire il vero, a me l’aeroporto, inteso come luogo, è sempre piaciuto, e continua a piacere.

A complicare il tutto, l’urbanistica della città. Spostamenti in barca, barche veloci, piste ciclabili in cui i pedoni non sono bene accetti, e le scale a chiocciola delle scale olandesi, ritte ed erte in verticale.

scala della casa Staff di quell’evento, credits by J.C.

Essendo, all’ epoca, la più giovane dell’ufficio, venni smollata nei pressi della stazione il cui treno portava in aeroporto senza troppe spiegazioni, le mie liste in mano, al grido di “Ciao, ci vediamo in hotel.” Cosa che sarebbe accaduta certo, ma una ventina di ore più tardi.

In aeroporto mi aspettava quello che per quel giorno sarebbe stato il mio staff, due ragazze olandesi delle più sveglie che abbia mai incontrato, bionde color grano ed occhiali neri, con la tracollina e l’aria timida. Purtroppo di loro non ricordo i nomi, ma ricordo la sensazione di tranquillità che mi trasmisero. E poi a me il look delle nordiche è sempre piaciuto.

Le ragazze erano attive, propositive, si sapevano muovere, e sembravano divertirsi, capivano le mie battute tradotte appositamente dall’ italiano all’ inglese, la giornata era bella, gli aerei puntuali.

Tutto scorreva come doveva.

Che è poi il momento in cui si abbassa la guardia. Che è poi il momento in cui ti si slaccia la scarpa. Che è poi il momento in cui comincia il divertimento.

Era tardo pomeriggio, arrivo’ l’ultimo gruppo.

Mi chiamo’ la tour leader dalla zona del nastro bagagli:

“ Tardo un poco, pare che abbiano smarrito un bagaglio.”

“Ok, va bene, fate la denuncia, poi vediamo come fare.” Clic.

Driin, mi richiama e: “ Ah no, mi dicono che è rimasto in Italia, lo caricano sul volo che arriva fra un’ora.”

“Va bene, per favore tranquillizza l’ospite, dille di NON USCIRE da li’e di aspettare ai nastri, piuttosto dalle il mio numero, io l’aspetto fuori”.

“Certo, io intanto esco con gli altri.”

Lei usci, seguita dal gruppo e dall’ospite che doveva restare dentro.

Arrivarono tutte sorridenti con la carta di imbarco e l’etichetta bagaglio: “Allora grazie, noi andiamo in hotel, quando arriva il bagaglio per favore caricalo sul bus, così mi cambio per la cena.” Girarono i tacchi e se ne andarono.

Io rimasi a guardarle senza parole. A parte il fatto di aver capito che loro non avevano capito nulla di quello che avevo detto ( o fatto finta di non capire) mi lasciarono lì con la carta di imbarco in mano, io nella zona arrivi da cui non potevo muovermi, un bagaglio che sarebbe arrivato su di un volo su cui non avevo ospiti, e nessun contatto, e nessun modo di recuperarlo.

Il divertimento ha sempre una doppia faccia, inclusa quello dello stronzo (con licenza parlando) che deve stare sobrio alle feste perché deve portare tutti a casa.

In quella situazione, quello stronzo ero io.

Dopo aver chiamato tutti quelli che potevo chiamare, il volo stava atterrando ed io non sapevo più che pesci pigliare. Mi si avvicino’ la collega olandese, tirando fuori dalla tasca il tesserino aeroportuale, quello che da’ accesso praticamente dappertutto, e si offri’ di aiutarmi,

Si prese la carta di imbarco, si infilo’ il laccetto al collo con il tesserino, trovo’ un ingresso secondario, e dopo pochi minuti torno’ indietro sorridente e #serenacomevenezia con il bagaglio -mai-stato-smarrito dell’ospite.

Le chiesi come avesse fatto, lei mi rispose solo: “I’ve taken it.” Nella mia testa si trattava quasi di furto, e mi figuravo la bionda entrare in zona deposito bagagli, centellinare tutti i trolley, individuare il bagaglio tramite l’etichetta, e recuperarlo con il ghigno di Arsenio Lupin.

Decisi di non pormi troppe domande, avevo recuperato il bagaglio. Non avevo seguito le regole? No. Se mi avessero beccata? Poteva capitare, ma non era successo.

Mi porse il bagaglio, si puli’ le lenti degli occhiali, confabulo’ con la sua collega, mi ringrazio’ e se ne ando’.

Io riportai il bagaglio in hotel, Manuela e Clelia mi aspettavano al bar della lounge con la birra ed un club sandwich.

I loro visi esterrefatti parlavano da soli, al racconto di come fossi tornata in possesso della valigia, e Clelia, che io considero una delle mie guru lavorative, mi disse: “Neanche io sono mai arrivata a tanto” con la sua tipica espressione che non ho altri modi di definire se non alla Clelia, mentre scuoteva impercettibilmente il capo.

Ridevo, mentre alzavo la mano per ordinare la seconda birra, pensando alle venti ore in aeroporto, alla stanchezza, al nostro staff caciarone nonostante tutto, e ridevo ancora.  Perché anche gli stronzi che vanno alle feste, prima di portare gli altri a casa, a volte aggirano le regole, e riescono anche a divertirsi.

2 commenti

  • Paola

    Cara Baudy…indipendentemente da tutto chi Ami sa che cos’è il meglio per te…..pensare nella vita serve perché ti permette di capire quando puoi aiutare gli altri e quando è il caso di fermarti per prepararti a ciò che nella vita ti meriti. …ti senti cretina, quasi non ci credi ma non puoi farne a meno.
    Paola

Rispondi a Roberta Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi