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seiluglioduemilaventuno.
di un finestrino che schiaccia dell'erba verde, di una macchina sfasciata e di me, che però sono intera.
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A com’ero ieri.
Della contemplazione, di un bicchiere in plastica, di un anno fa. Ai miei pensieri, a com'ero ieri.
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Frena (la mula).
Come si diceva, quando eravamo bambini? Chi va piano va sano e va lontano/ Chi va forte va incontro alla morte. Ma poi, come va a finire?
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La meccanica del cuore
Di una nicchia e della nostra comfort zone, e della meccanica del cuore.
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Tutto l’amore che non sapevo di avere.
Del compleanno di un biondino di cinque anni. E dell'amore di una zia,
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La cartella varie
In questa quarantena, ho scoperto di non essere molto creativa nel riordinare ed immagazzinare i ricordi. Anzi, lasciatemelo dire, proprio per niente. Una delle interessantissime attività che sto svolgendo nell’ora pre -aperitivo, scelta non casuale, in quanto mi astiene dallo stazionare davanti al frigo in attesa dell’illuminazione, è l’archiviazione delle foto in cartelle con nomi il più possible circoscritti. Ho realizzato infatti che il mio materiale fotografico è buttato alla rinfusa in cartelle rinominate con una data, tipo “scaricate il 08.04”, o più semplicemente dai nomi indefiniti, “foto miste”, “foto da aziendale”, “foto da personale”, risultato di anni di fretta e trascuratezza. Questo lavoro di apri, commenta o commuoviti, a…
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Toccarla piano.
Nella foto di copertina la zia Paola mi fa i codini. Io avrò avuto circa 3 anni, e mi lascio tormentare solo perché anche lei li porta, proprio come insegnano i manuali di psicologia (mi pare di ricordare): se si vuole parlare con un bambino ci si deve mettere alla sua altezza, per farlo sentire a proprio agio. Ecco in parole povere, quello che significa la parola empatia: mettersi nei panni degli altri, facendoli sentire a loro agio. La mia amica Tozli, il cui cognome venne storpiato da un medico egiziano ormai dieci anni fa, che scrisse in modo sbagliato il suo cognome su di un referto, la settimana scorsa…
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Tommaso ed Oceania (parte 2)
Mia sorella si chiama Oceania, il nome l’ho scelto io, come il cartone della Disney. Oceania ha la faccia seria, pochi capelli tendenti al rosso, gli occhi verdi, ma non è mangiona come me. Se Oceania è arrivata, lo Zio Luigi è andato via, in un caldo sabato di luglio. Sento spesso dire dai grandi che le persone sanno quando è il momento di uscire di scena. Io non so se sia vero, so solo che da quando è andato ci sentiamo tutti un po’ più soli, come se la vita avesse abbassato il volume. A me però il volume piace alto. Alto come quando a casa facciamo il gioco…
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Tommaso ed Oceania (parte I)
Del mio debutto (pressochè silenzioso) ad un concorso di scrittura.
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Fatti una domanda, datti una risposta.
Da sempre, sono una persona che si pone molte domande. Praticamente su tutto. E penso molto, prima di prendere una decisione. Penso, ripenso, disfo. Faccio tutto da sola. Parlo da sola, che per me è un modo di fare una spunta mentale delle cose. Non faccio liste. Uso il cervello, da sempre la parte del mio corpo che tratto meglio. Lo alleno, lo spremo fino a che non ne può più. Mia madre dice che penso troppo, penso sempre, e non smetto di pensare neanche di notte. Diceva sempre che dalla stanza accanto poteva sentire il rumore delle rotelle del mio cervello in azione, per questo il mattino mi alzavo…