#Serenacomevenezia

31.12.2021.

Caro duemilaventuno, sei stato umorale, spigoloso, duro, nervoso.

Sei stato un attimo bello seguito subito dopo da un attimo brutto.

Sei stato gennaio, un lavoro nuovo arrivato per caso, e un ragazzo che teneva il piede in molte scarpe, salvo poi pulire e lucidare sempre e solo le sue, le uniche che gli calzassero bene, e che effettivamente gli piacessero più di tutte le altre, incluse le mie, ovvio. Sei stato il sabato in cui abbiamo seppellito Zia Giulia, il sole, il freddo, i suoi occhi azzurri che hanno costruito luce.

Sei stato le 17.30 del 10 marzo, sera in cui scopro di aver comprato una casa mentre sono al supermercato, e sto aprendo l’anta della vetrina dei formaggi. Sei stato le 20.30 circa della medesima sera, in cui la zia Paola viene portata via d’urgenza dall’ambulanza, per non tornare più a casa.

Sei stato Bohemian Rapsody, sparato a tutto volume nel tempio crematorio mentre Lorenzo tentava di ricomporre un fazzoletto sbrindellato, stretto nel suo completo gessato incredulo nel vedere la bara di sua madre venire mangiata dal fuoco.

Sei stato i lavori di ristrutturazione della casa, le discussione infinite con i miei genitori, i bonifici che devono riportare una certa dicitura altrimenti il commercialista ti sgrida.

Sei stato il mio 39compleanno, in cui ho colto l’affetto altrui come fiori.

Sei stato il wazzap del 30 giugno, “cantiere chiuso”, giorno in cui i muratori hanno smesso di demolire, e pensavo di poter iniziare a costruire, e mi facevo i selfie con il sorriso largo e lo smalto rosso ai piedi.

Sei stato la notte fra il 5 ed il 6 luglio, notte in cui esco di strada con la macchina, e mi complico la vita, pur restandomene un pezzo attaccata alla punta delle dita.

Sei stato quelle ore, fra le più infelici della mia vita.

Sei stato i selfie del giorno dopo, con il volto tumefatto, l’occhio mezzo chiuso, il naso ammaccato, il sangue sulla mia maglietta glicine.

Sei stato i molti giorni dopo, l’invidia per gli altri senza problemi se non quello di festeggiare l’Italia agli Europei, come cazzo era possibile che fosse tutto così complicato per me. Che poi magari anche per gli altri nulla è facile, ma mostrare le proprie debolezze lo è molto meno che fingere che tutto vada bene.

Sei stato agosto ed il cielo di Paros, anzi per essere precisi le foglie degli alberi che mi separavano dal cielo di Paros, foglie che ho guardato muoversi per ore, persa nel silenzio della mia testa.

Sei stato le corse, le camminate, la cellulite che sta sempre lì, i panini che mi sono portata in montagna.

Sei stato i molti pensieri, ed ahimè la poca scrittura.

Sei stato la scelta dolorosa e molto poco popolare di stare ferma, mentre tutti intorno a me sembravano smuovere montagne.

Sei stato le persone che se ne sono andate, che sono state molto più di quelle entrate, ma sempre meno rispetto a quelle che restano, per fortuna.

Ma sei stato anche tutto l’amore che mi circonda, e che mi è arrivato anche quando lo scalciavo via.

Sei stato l’inverno, e la voglia di ripartire.

Sei stato il 25 dicembre, sera in cui, sotto le coperte, ho guardato lo spigolo alto della porta bianca della mia camera, ed ho pensato “Ma come ho fatto a fare tutto ciò”, ed una piccola piccolissima parte di me ha avuto un moto di orgoglio per essere comunque ancora in piedi, e con lo spirito non dico alto come prima, ma che all’alto tende.

Sconti non me ne sono fatta, anzi. Ma sto imparando a rispettare questa Elena un po’ ammaccata, che tenta sempre di essere la versione migliore di sé stessa, anche se a volte i risultati ottenuti non sono sempre quelli che si sperava di raggiungere una volta partiti ma che, proprio per questo, non nasconde le sue cicatrici.

E proprio per questo suo non vergognarsi se esce con il rossetto un po’ sbavato sotto la mascherina senza accorgersene, sto imparando a volerle bene ogni giorno di più.

E soprattutto a lei faccio i miei migliori auguri per il 2022.

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