In generale nella vita

La meccanica del cuore

Il sabato mattina mi capita spesso di fare la baby sitter ai miei nipoti. A volte c’è solo Maggie, e con lei il compito è facile, non la devo intrattenere, si intrattiene da sola: svuota scatole e pacchetti del loro contenuto, per poi rimetterlo dentro dopo pochi minuti. Cerca la parte sotto del corpo di Minnie perché il rosa ed il rosso insieme non le piacciono. Pesca i mattoncini nel grande cesto, per impilare pezzi colorati uno sopra l’altro.

La osservo, non tiene conto delle proporzioni, una costruzione è alta, quella accanto è bassa, e continua imperterrita a mettere i mattoncini sopra quella più alta, che lo diventa sempre di più. I mattoncini hanno forme diverse, ed anche qui lei non segue le dimensioni, come potrebbe, quello piccolo è base per quello alto, e fra dimensioni sbagliate e colori che si scontrano, la torre comincia a pendere dolcemente.

Pende. Pende come certi cuori, che non sanno da che parte stare.

In genere stanno nella loro “comfort zone”, quella l’abbiamo tutti, è una zona comoda come il plaid sopra la coperta, come mettere i piedi fra le gambe dell’altro per scaldarsi, la nicchia in cui sta l’immagine sacra che ci guarda.

Stanno lì, a pompare cose cui hanno paura a dare un nome, e tutto quel pompare così li porterebbe ben altrove, ma se ne stanno fermi, ad aspettare (pare inconsapevolmente, ma poi fosse vero) che l’immagine sacra cominci a parlare, che un colpo di vento faccia girare la freccia, ad aspettare un segnale che mostri la via, che tanto retta non sarà mai.

Invece spesso cade, come certi altri cuori, che saprebbero anche da che parte stare, ma che pero’ non ci stanno, senza tanti giri di parole né orpelli sono stati tirati via come le linguette delle lattine anni ’90.

Tirare via qualcuno da un posto in cui stava bene è una cattiveria. Ma di cattiverie e di cattivi è pieno il mondo. Che poi magari cattivi e capaci di cattiverie in fondo non erano, pero’ a qualcuno la colpa va data, dopo essersi fatti un gran esame di coscienza condito con fiumi di lacrime.

Perché di cattivi e cattiverie ne ho sentiti tantissimi, colpevoli di cuori ammaccati a discapito di amiche, amici, conoscenti o sconosciuti. Si sa, niente riunisce attorno al tavolo a far solidarizzare persone diversissime fra loro come un cuore spezzato.

Il cuore spezzato è democratico, come la cellulite. 

Democratico sì, ma non genetico. Nel senso che il cuore si spezza. Lo si può ricucire, lo si ripara, ma le ammaccature restano. E quelle non sono congenite, ma crescendo ci prendono per mano, e ci accompagnano pure, in quello strano percorso che è la vita.

Perché più si va avanti con l’età, più ci si ritrova ammaccati da relazioni passate, tanti colpi presi ed altrettanti (o forse più) subiti, e vai a trovarli un paio di guantoni che ci calzino, le nocche sanguinanti, e non ci sono garze e bendaggi che tengano.

E che tenerezza, ripensando a quelle stesse amiche, amici e conoscenti che nei tuoi confronti erano forti censori del “e non devi proprio farti trattare così”, oppure “ma veramente ti sei fatta dire quelle cose?” 

Sguardi riprovevoli e ditini alzati, in segno di benevolo (s)conforto e tu a capo chino a lavare in piazza i panni sporchi del tuo cuore piegato. In attesa del loro intervento da meccanici professionisti, pronti ad accarezzare quella guancia scavata dalle lacrime, a cucire il cuore lacerato, a ripulire con gli stracci il sangue da terra.

E’ riconosciuto, siamo tutti meccanici del cuore.  Sapienti teorici certamente, e bravi tecnici, ma su organi altrui. E pero’ quando si tratta del nostro, di cuore, ci troviamo inermi, privi della lucidità così ben dispensata agli altri.

Vaghiamo con i carrelli vuoti fra le corsie della vita, cercando quel pezzo che, da meccanici professionisti del cuore altrui, avremmo saputo su che scaffale trovare, e di cui però ora non ricordiamo manco il reparto. E nell’attesa che qualcuno si svegli e ci venga in soccorso, (il top sarebbe che ci svegliasse), il cuore ammaccato se ne sta lì, mogio e dolorante, armato ora di tutto punto, perché ha imparato la lezione, mettendosi anche al riparo nella nicchia con l’immagine sacra, nella sua comoda comfort zone, cercando di convincersi e convincere che è meglio così, manca sicuramente unsollievo alle ferite, ma dopotutto l’anestetico naturale pare funzionare.

Mi ricordo di un guerriero greco, non so se ne abbiate sentito parlare anche voi, si chiamava Achille. Era invulnerabile, dicevano, tranne che per qualche centimetro di pelle sul piede, perché la madre Teti, per renderlo immortale, lo immerse nell’acqua del fiume Stige tenendolo per un tallone. Come finisce la storia, è cosa nota.

Le intenzioni non sempre fanno la differenza.

Quella la fanno le nostre azioni.

E quanti centimetri di pelle siamo disposti a scoprire, pur sapendo che nonostante le nostre possenti armature, potremmo trovare qualcuno che saprà esattamente dove colpire.

L’unico pericolo che senti veramente/ È quello di non riuscire più a sentire niente/ Di non riuscire più a sentire niente

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