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Il bello ai tempi del Corona (virus).

La settimana scorsa l’oroscopo mi aveva predetto una settimana top!, incontri personali e professionali come se piovesse, il mondo (nel disegno bizzarro degli astri) avrebbe dovuto essere una biglia fra le mie dita.

Alla faccia della settimana, il cui giorno finale avrebbe avuto le forme ( e non le sembianze) del nefasto 29 febbraio, che arriva ogni 4 anni, e per me è già pure troppo.

Invece è arrivato lui, il CO- VID 19, meglio conosciuto ai più come il Corona(virus), che ha preso la biglia di cui sopra, e l’ha lanciata dove capitava, come impazzita. E noi dietro di lei.

Ci siamo scoperti virologi, infettivologi, abbiamo offerto il caffeuccio alla D’Urso, che ci è venuta a trovare tutti i pomeriggi, nel nostro salottino, ma tenendosi a debita distanza, non dimenticandosi di lavarsi le mani prima di andarsene, e poi facendo in modo che non ce ne dimenticassimo pure noi, rendendolo virale (quel video).

Il ballo delle mani, Higlander Dj edit, almeno cìè un pò di musica di sottofondo.

Abbiamo scoperto (guarda un po’) che le case degli abitanti di Codogno sono esattamente uguali alle nostre, che il pomeriggio possiamo uscire a fare una passeggiata all’ aria aperta, possiamo stare anche ad un metro di distanza, e spazio ce ne è in abbondanza, oppure possiamo riscoprire il piacere della lettura, quello sì che non ci trasmette nulla.

Ci siamo scoperti portatori inconsapevoli del Corona a Tenerife, che occupava la nostra medesima camera nel Resort, e noi non lo sapevamo.

Ci siamo scoperti portatori del Corona mentre mangiavamo il bacione d’asporto sul lungomare di Alassio.

Ci siamo scoperti poco (o non accetti) in alcuni casi dai Paesi vicini, – e da ieri anche un po’ più lontani -che ci hanno aperto le porte per poi metterci in quarantena.

Scopri che nella quarantena ci devi stare quando non puoi stare in nessun altro posto.

La quarantena è il risultato di un colloquio in cui ti senti confidente, bussi alla porta e ti fanno entrare, e dopo averlo fatto scopri che richiedono un paio di anni di esperienza, ma tu sei neo – laureato, l’esperienza non la puoi proprio avere, sei solo un portatore sano di sogni ed energia, la seconda ti è servita per arrivare lì, i primi ti corrono dietro da tempo.

Grazie, Le faremo sapere”, e’ il tampone con cui ti mettono in quarantena, e tu aspetti, per poi scoprire (sempre che ti rispondano, eh) che non è andata. Perché bla bla bla.

Io me li ricordo tutti i miei colloqui dopo la laurea. Il numero esatto non lo dirò mai, ma vi dico che è superiore alle dita di una mano ed inferiore alle dita di 4 mani. Pochi disastrosi, nessuno realmente interessante, uno certamente tenuto da una persona realmente antipatica, molti con una raffica di  domande tipo “Mi parli un po’ in inglese” poste da persone la cui conoscenza della lingua si fermava a “Uoz ior name?” , perché quando cominciavo a parlare si fermavano dicendo: “Ci fermiamo, tanto vedo che Lei lo SA.” (Ma sapere cosa, esattamente?)

Era il 2008 credo, la crisi stava cominciando, la mia laurea era come la ricotta, fresca ma con poco sapore.

La mia quarantena era fatta di zero risposte ai miei sproloqui di cui sopra, iscrizioni ossessive ai portali, musi lunghi, e giornate fatte di “passerà, tutto andrà bene, qualcosa mi inventero’”

Finché non mi inventai che partire sarebbe stato uscire dalla mia zona rossa, per un Egitto dalla lunga storia, un biglietto di sola andata, le parole di mia madre nell’ orecchio sinistro “Ma lì non c’è nulla”, e quelle di mio padre nell’ orecchio destro: “Avessi avuto l’età, lo avrei fatto pure io.”

Partire è un po’ come tagliare i capelli, se non ti piaci, alla fine ricrescono, la valigia si fa in fretta a rifarla, dopo averla disfatta.

Non si perde nulla, a partire, perché ciò che conta non ti lascia, e lo troverai lì al tuo ritorno, cambiato, ma sempre lì, magari spostato un po’ rispetto a dove lo hai lasciato. Perché i tuoi passi avranno una lunghezza diversa, ma i tuoi lacci potresti averli comprati in un altro posto.

E per fortuna aggiungerei. Perché i ricordi, se sono belli, ci salvano da momenti come questo.

Durante la mia quarantena mentale della settimana scorsa, è arrivata la sensazione, forte come il vento del marzo più bastardo. E da quella voglia di bello che avevo, ha fatto capolino nella mia testa l’Isola di File, ad Aswan.

isola di file dall’imbarcazione

Nell’antichità si trattava una piccola isola, posta vicino alla cataratta di Assuan, che costituiva non solo un importante scalo fra Egitto e la Nubia, perché forniva un appoggio per lo sbarco delle merci quando le cataratte erano impraticabili, ma ospitava, secondo la tradizione, uno dei luoghi di sepoltura di Osiride, ed era pertanto venerate da Romani e Nubiani.

Proprio per preservare la Sua sacralità, solo i sacerdoti potevano avvicinarsi, come se fosse stata in zona rossa per tutti gli altri, da qui il nome “l’ inavvicinabile”. Vennero’ però costruiti edifici di culto e l’isola divenne pertanto meta di pellegrinaggi. Era un pò come una Mecca ante -litteram, perchè era obbligo per gli Egiziani visitarla almeno una volta nella vita. Accanto al culto della dea Iside, a cui sono dedicati i templi all’interno, venne affiancato il culto della religione cristiana, fino a che il complesso risulto’ troppo affollato.

Tempio della Dea Iside

I sacerdoti decisero che era ora di sospendere i viaggi religiosi verso l’isola, decretandone la fine sul famoso “Obelisco di File”, che verrà poi trafugato anni più tardi e che diventerà insieme alla più famosa Stele di Rosetta il paziente 0 da cui partire per studiare il geroglifico e la cultura egizia.

L’isola fu di fatto isolata, salvo poi diventare meta di spedizioni archeologiche di varia natura fino a che, nel recentissimo 1977 si decise lo spostamento dell’intero complesso monumentale sulla vicina Isola di Algikia, dove si trova ancora oggi (per evitare che quando la diga venisse alzata, l’isola venisse completamente sommersa).

Due anni dopo, l’Isola divenne Patrimonio dell’ Unesco, e direi che fu una scelta più che azzeccata.

gradinate di recente costruzione per assistere ai giochi di luce

Se non l’avessimo spostata, l’isola di File, non potremmo ora godere della Sua Bellezza, colore che a distanza di undici anni io ricordo ancora come uno dei più vividi della mia variopinta tavolozza.

Il suo nome in lingua egizia vuol dire “l’isola del tempo”.

Qui il tempo si è fermato, grazie Allah. Ecco perchè è una delle cose più belle mai viste, per me.

Il tempo di una quarantena. Perché a questo serve, la quarantena.

Ad evitare il contagio con le brutture del mondo. E farci frullare le ali dei ricordi, per riscoprire quello bello, e tenercelo stretto.

People change, memories don’t, questo l’ho imparato a Skiathos, ma molte estati dopo. Ma questa è decisamente un’altra storia.

Penso alla parola “memories” e mi viene in mente questo ritornello. Sara’ poco poetico, amen.

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