Senza categoria

Rimanendo ad occhi chiusi.

La mia vita errabonda mi ha portato a Rodi, fra il Mediterraneo e l’Egeo, dove il mare è blu, e lo yoghurt è bianco e denso, e le cicale cantano. Un canto così non lo avevo mai sentito prima.

Inutile dire che siamo stati invasi dai vecchi.

Forse suona brutta la parola, ma in realtà è quello che sono. Vecchi.

Molto franchi, sdentati, smemorati, pretenziosi, pieni di vizi. Forse perché hanno visto tutto, hanno patito tanto, ed ora vogliono quello che resta. L’aria, le briciole, le arance sbucciate, l’ultimo raggio di sole.

Vogliono il tuo tempo, lo pretendono. Devono riscuotere il debito per la loro giovinezza senza i-phone, senza internet, forse senza spensieratezza (o chi lo sa, forse la superba sono io, forse ne hanno avuta più loro di me). Hanno fame. Sono stati gli unici che al loro arrivo in hotel intorno alle tre di notte hanno avuto l’ardire di sbranarsi la colazione dei tedeschi che dovevano partire. Come i vandali. Le briciole mi correggo, quelle non le hanno volute, le hanno lasciate, come i pezzi di biscotto mangiato dentro i piatti.

Cadono, poi non vogliono vedere il medico perché costa. E mentono dicendo che le loro ossa sono come quelle dei trentenni. Perdono la carta di identità e piangono. E mi fanno tenerezza, mentre aprono il portafogli marrone, con le foto sbiadite del marito soldato, del cortile della casa con le quaglie appese dopo la caccia, dei nipotini, per farmi vedere che hanno almeno la fotocopia, e poi prendono i fazzoletti con le iniziali, e piangono.

E mi dicono che il pedalo’ costa troppo, volevano fare solo un giretto, ma cento euro per mezz’ora proprio no, ed allora vado dal noleggiatore, che mi dice che il giro costa dieci euro per quaranta minuti, ed io torno dalle signore, e le prendo in giro dicendo che mica il pedalò è fatto d’oro, ma poi non voglio sembrare insolente, nei confronti dei loro orecchini d’oro con la testa di Nefertari, dei loro anelli con le pietre, delle loro collane che sono uguali a quelle che mia nonna mi portava da Cattolica, delle loro camere che quando entri dentro senti odore di caffè perché si sono portate dietro la caffettiera ed il fornelletto.

Stridono questi vecchi, nei confronto di un posto che io ho sempre pensato pieno di vita, come il villaggio. Pieno di gente che ride, di bambini che corrono con le crocs.   

Stridono nei confronti delle mie scorribande in macchina su per le montagne, a vedere Siana, dove producono il miele più buono dell’isola. Dove i frutti vengono lasciati a macerare, per vendere la suma, un liquore distillato che sa di tempo che si è fermato, costretto com’è nelle bottigliette in plastica riciclata. E poi su fino ad Embonas, il punto più alto di tutti, centro vinicolo dove ogni angolo è famoso per produrre il vino bianco, no forse rosso, che prima hai comprato, ed ora stai avvolgendo fra le canotte perché vuoi ridere, come farai a riportarlo in aereo. E mentre torno indietro, percorro le spire del Monte Attaviros, color asfalto, sento solo il rumore degli aghi di pino che sono attaccati ai pneumatici, e che mi porto dietro da un pò, e che però mi piacciono, non so come, il loro profumo ha invaso la mia macchina, e mi fa compagnia.

Arrivo a Kritinia, il vento mi schiaffeggia la faccia, davvero non si resiste, ma si vede l’isola di Alki, quasi non si riconosce nel mare che luccica, sembra un grosso sasso buttato lì. Davanti il mare, in alto il sole, sopra e sotto il vento, nella testa la paura che arrivi un serpente, perchè questa nell’antichità era l’isola dei Serpenti, Ifidia, e vuoi che non ci siano in mezzo ai sassi, sotto il sole e lo sterrato, è per quello che batto i piedi come un tamburino, sarò ridicola, ma chi lo sa che reazione posso avere? E poi il sibilo del vento moltiplica per cento mille i sibili che sento.

Manca poco, poi il quadro dell’estate sarà completo.

Vissuto al meglio, a metà, non lo so, non credo più a chi dice ha sempre la risposta in tasca e vive in linea retta.

Forse come dicono in molti, ma lo credono in pochi, l’importante è il viaggio, non la meta. Un viaggio fatto con la testa, con la responsabilità, ma sempre con un pizzico di incoscienza, con la voglia, a differenza dei vecchi, e la presunzione di dire mordo tutto, e posso lasciarlo, se non mi piace.   

Un viaggio fatto con un fiore di frangipani tra i capelli, dal profumo intenso, e dai petali che sembrano orecchie di rinoceronte.

per chi non li avesse mai visti, i frangipani.

mio tormentone in macchina

Un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi