In generale nella vita

You don’t have to see the whole staircase, just take the first step (M.L. King)

Italia Paese di santi, poeti e navigatori (dicono).

Italia Paese di start up, di medici che eseguono trapianti, di vecchi manager che non vogliono mollare l’osso.

Italia Paese fra i più belli al mondo, fra i più buoni da mangiare, fra i più accoglienti da visitare.

Italia Paese di atleti e sognatori.

Che alle volte le due cose coincidono. Perché tutti gli atleti si sono immaginati sul gradino più alto del podio, a tagliare per primi il traguardo, a tirare il rigore decisivo in finale.

Tutti gli atleti hanno visto in una coppa, in una medaglia, in una convocazione la meta necessaria per dare forma a quel sogno. E non importa il metallo della medaglia, la forma della coppa, o se il campo è quello di un ritiro a Coverciano, o del paese vicino che per arrivarci devi prendere il treno.

Quello che ho sempre pensato, è che il primo passo, il primo fiato, il primo “anche io vorrei arrivare lì” è la prima sostanza di cui è fatto il sogno.

Non tutti gli atleti alzano la Coppa del Mondo, vincono l’Olimpiade, o diventano Campioni del Mondo.

Di dieci perfetti, ce ne sono stati pochi.

Ad esempio Del Piero, che ha pennellato con le sue prodezze la maglia bianconera, diventandone uno dei simboli.

Il nr. 10 bianconero

Jim Hines, che nel 1968 a Città del Messico fu il primo uomo a correre i 100 metri superando la barriera dei 10 secondi.

Jim Heines

Nadia Comaneci, il cui 10 pieno ottenuto durante le Olimpiadi Canadesi di Montreal, nel 1976, fu così stupefacente che i computer, programmati per registrare votazioni fino al 9,99, trasformarono la perfezione del voto in un 1 che venne moltiplicato per 10 volte.

Una 14nne Nadia Comaneci

Non tutti gli atleti sono destinati a diventare dei numeri uno.

Ci sono atleti che però festeggiano come se su quel gradino ci fossero saliti davvero.

E’ il caso (per me bellissimo) delle atlete della staffetta femminile della 4×100 dei recenti mondiali di atletica, che si sono svolti a Doha un paio di settimane fa. Sono stati forse Mondiali troppo severi dal punto di vista del bottino portato a casa, ma ricchi di promesse, speranze, record frantumati e sogni.

Le ragazze della 4×100 corrono la semifinale, ed arrivano seste. Pero’ non basta per la finale e per staccare il pass per Tokyo 2020.

https://www.raisport.rai.it/video/2019/10/4×100-donne-b3815b22-30c0-457f-b82c-44dd1e74cfb0.html

I telecronisti dicono: “Questa è fare l’America, questa è già la finale.”con fare mesto, salvo poi rendersi conto che quel tempo anzitempo criticato è da record italiano, 42″90.

Le ragazze si abbracciano in mezzo alla pista. Hanno vinto la loro finale.

Peccato che di lì a poco, durante l’intervista a termine gara, in diretta tv vengano a sapere della squalifica del Brasile per invasione di corsia, e della loro qualificazione non solo per la finale, ma anche per i prossimi giochi olimpici giapponesi. Quando si dice il bello della diretta.

https://www.raisport.rai.it/articoli/2019/10/4×100-doha2019-1d3d4f45-2bd4-4912-9747-60d931f9bd7b.html

Le ragazze festeggiano come se avessero vinto un oro. Le ragazze hanno fatto l’America.

Ecco cosa hanno di bello i sogni. Che quando li sfiori, a volte hai la fortuna di poterli stringere ancora più forte.

Ecco cosa hanno di bello i sogni. Che dopo che li hai sognati, quando arrivi a trasformarli, tutto quello che è stato prima diventa una pellicola che ti scorre nella testa, una strada che hai battuto, una fatica che hai sentito, l’inchiostro che ti ha sporcato.

Quando ho visto l’intervista, a parte le lacrime miste a risa che ho versato, mi sono ritrovata indietro di venti anni tondi tondi, di quando frequentavo il liceo “Isaac Newton” di Chivasso.

Quell’anno, mi pare fosse maggio perché ricordo i maturandi che ripassavano seduti sugli spalti, vennero istituiti una sorta di Giochi d’Istituto, in cui erano coinvolte tutte le sezioni del liceo, classico e scientifico.

Le classi del classico (perdonate la ripetizione) partivano già svantaggiate in partenza, essendo composte per la maggior parte da ragazze. Ma questo non scoraggiò la prof. di ginnastica, la biondissima Robbiano, ex cestista che aveva militato in A, che ci convinse a partecipare, anche senza il supporto maschile (i maschietti si erano dileguati piuttosto in fretta, a dire la verità’).

La mia classe vantava delle gran teste, per esempio compagni che traducevano senza uso del dizionario, o che eseguivano traduzioni così perfette che i prof. si dovevano inventare gli errori per non dare sempre 10. Avrebbe annoverato anche due miss liceo, la prima proclamata da lì a distanza di un mese, la seconda l’anno seguente.

Eravamo simpatici, svegli, interessati, facevamo volentieri attività fisica, ma da lì a definirci atleti, ce ne passava.

per esempio

Ci sapevamo però fare volere bene, e l’impegno non ci è mai mancato, ancora oggi, a distanza di anni, e quando riusciamo a ritrovarci è sempre un gran ridere.

Prese dall’entusiasmo, spirito di competizione, ed un po’ perché ci convincevamo l’una con l’altra, cominciammo ad allenarci anche il pomeriggio al Campo Rava.

Ognuna a modo suo, ci cimentammo in diverse specialità, cercando di coprirle il più possibile, dalla corsa, alla staffetta, passando per il lancio del peso (ricordiamo il secondo posto di Alessia, che ci fece prendere un bel pò di punti.)

Dal canto mio, fui schierata in prima frazione nella 4×100, con Simona, Federica ed Irene. Ci allenammo seriamente, dovevamo trovare i giusti tempi, passarci il testimone senza farlo cadere e via dicendo.

Io delle 4 ero la più bassa, e quella con le gambe meno lunghe. Mi esprimo meglio sulle lunghe distanze, come detto, ma quando è ora di ballare, raramente mi faccio trovare impreparata. Che poi la maggior parte delle volte non becchi il ritmo giusto, questa è un’altra storia.

Il giorno della gara, mi ricordo il caldo, e che io e Simona ci scaldammo sugli spalti. Ma cominciammo troppo presto, e fummo chiamate praticamente per ultime, tanto che tutto quel poco di pubblico che poteva essere intervenuto era pressoché andato via.

Durante le prove, eravamo state più veloci, ma corremmo comunque bene, ed arrivammo seconde. Ovviamente, vinse una classe dello scientifico.

Dopo quelle gare tornammo alla nostra vita di secchione, dedite allo studio ed ai video di MTV al mattino. ll greco ed il latino tornarono a scandire le nostre giornate, intervallate dai raid nei corridoi dello scientifico per vedere se ci fossero dei ragazzi carini.

Finché un giorno la prof. Robbiano, proprio come un telecronista fuori campo, irruppe in classe, a salvarci da una eterna ora di Divina Commedia, per annunciarci tutta fiera che la nostra classe era arrivata prima fra tutte le sezioni del Liceo Classico. Contro lo scientifico nulla si poteva, ma era un risultato veramente sorprendente.

Le studiose da una vita erano diventate atlete per un giorno.

Venimmo premiate con una maglietta del liceo, badate bene nessuna medaglia, nessuna coppa, ma io ricordo quei giorni, quella corsa, quello stare insieme, la voce della Prof. tutta orgogliosa, come una delle più belle pagine della mia storia liceale.

Perché i sogni non devono essere per forza grandi, o luccicanti.

E non ci saranno sempre coppe da alzare o medaglie da indossare.

Perché non diventeremo tutti dei numeri 10, o dei numeri uno.

Ma tutti possiamo avere un sogno. Ed il solo fatto di sognarlo ci aiuta a sentirne, anche se da lontano, il profumo.

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