#Serenacomevenezia

Smetto quando voglio?

Non mi definirei una persona che molla.

A memoria, tutto quello che ho cominciato l’ho portato a termine (bene o male che sia andata, questo è un altro paio di maniche).

Questa mia testardaggine è stata però spesso un’arma a doppio taglio. Si perché non la definirei determinazione.

Determinazione è quando hai un obiettivo, ben chiaro nella testa, e cerchi di centrarlo, o almeno cercando di arrivarci il più vicino possibile. Io non posso dire di essere stata sempre determinata, in quello che facevo. Obiettivi tanti, la maggior parte delle volte sfocati.

Spesso mi sono chiesta: “vai avanti perché ti piace quello che fai e sei convinta, oppure perché non vuoi mollare”?

Guadandomi indietro, spesso la risposta è stata: la seconda che hai detto (in questo caso scritto).

Non mi piace mollare, sono abituata a stringere i denti ed andare avanti. Questo mi porta ad ignorare le crepe, a non vedere la polvere, a minimizzare spesso dove non dovrei. A dire che va sempre bene. A farmi andare bene il vestito stretto. A non buttare via niente. (infatti sono un’ accumulatrice seriale di cazzate, e molto probabilmente finirò a vivere in mezzo alle cartacce, se non la smetto di conservare le carte di imbarco.)

Nel 2010 a Sharm avrei dovuto mollare tutto, con tanto di sottofondo di vaffanculo, quando il capo animazione dell’altro villaggio ubriacone ed incapace cominciava a rompere le palle (verbalmente, intendiamoci) a me ed alla mia collega. Ma io stavo bene con gli altri colleghi e mi piaceva il posto, per cui mandai giù le sue angherie dettate dalla sempre troppa vodka in corpo e dall’essere un uomo piccolo, e terminai la stagione.

Non avevo mollato dove gli altri avevano lasciato, ma in compenso avevo passato 4 mesi ad essere sminuita da uno stronzo, e peraltro poco intelligente.

Così la settimana scorsa, ho preso e mollato. Si era organizzato, per passare in maniera diversa la serata dopo faticosi giorni di evento, una gara con i kart. Io non mi posso definire un abile pilota, ma presa dall’entusiasmo e come detto in un precedente post: “Si prova tutto almeno una volta nella vita.”, ho deciso di partecipare anche io.

Dopo due giri di kart, ero già ultima. Mi sembrava di essere velocissima, ma tutti i colleghi mi sfrecciavano accanto come proiettili. Dopo 5 giri, e dopo che sembrava passata un’eternità, ho deciso che basta, che mi ero rotta le palle. Mi sono avvicinata ai due che controllavano la pista, che mi guardavano attoniti. Ho alzato la mano, mi sono tolta il casco, ed ho lasciato il kart. Non era il problema della pista, non era la sicurezza, non erano gli altri. Non c’era niente che non andava. Ma non mi andava. Non mi stavo manco divertendo.

Mi sono seduta, fra gli sguardi dubbiosi e stupiti di altri colleghi in tribuna, oltretutto avevo pagato l’equivalente di 8 euro a giro. Mica male per non essermi fatta manco mezza risata. Ma tant’è’.

In fondo, perché continuare a fare una cosa che non mi andava di fare?

Il giorno dopo sono stata a vedere Scala dei Turchi, parete rocciosa vicino Realmonte, provincia di Agrigento.

Scala dei Turchi, Realmonte, Agrigento, Sicilia. Luglio 2019

La scala si fa largo fra le dune di sabbia, frequentate da turisti stranieri e non. Batte il vento, io non ero vestita ovviamente nel modo adeguato, mi si alzava la gonna se camminavo, si alzava la gonna se stavo ferma.

Nulla era controllabile, non riuscivo neanche a stare seduta, tanto forte era il vento.

Ma quella è la bellezza del posto, di quel posto.

L’ essere scompigliati, non sentivo neanche quello che mi dicevano le mie colleghe.

Solo la sabbia nelle scarpe, la maglietta su che scopriva la pancia, il sole che batteva proprio a metà sul braccio, giusto per ricreare l’abbronzatura da cittadino.

I miei capelli ingestibili e pesanti, che andavano dove volevano, muovendosi come volevano e smettendo quando volevano.

Nonostante tutto, quel posto ti fa sentire giusto, e pace se molli il kart, se non hai voglia di andare a quella festa, vuoi lasciare la stanza anche se sembra male, perdi qualche conoscente per strada, che di problemi a cui pensare avresti già i tuoi.

Perché a ben pensarci, su certe teste, il casco proprio non serve.

2 commenti

  • Paola

    Io non mollo perché penso che ne valga la pena.
    Il casco è una protezione ma hai fatto bene a toglierlo e a metterti in sicurezza scendendo dal GoKart. Le cazzate servono e si riducono se da ogni errore che fai o che vedi provi a imparare come fare meglio. Un grande abbraccio Baudy. Paola

  • Sara

    E quegli 8 euro a giro sono valsi una bella ispirazione … alla fine ne è valsa la pena! Basta sempre saper trovare lo spunto giusto da ogni esperienza.

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