#Serenacomevenezia

Come quando fuori piove

Quando facevo Carnevale con il carro dei Tropical Folies,- non sarà corretto in italiano perchè dovrei dire “ Quando sfilavo con il carro di Carnevale dei Tropical Folies” , ma per me è più comodo dire così, e poi mi piace di più, molti anni e monti chili fa, cercavo di piazzarmi (non sempre riuscendoci) dietro mia sorella Francesca e Chiara, oppure vicino a Simona ed Elisa, più leggiadre ed armoniose nei movimenti di me.

Francesca, con un grande senso del ritmo, coordinata e solare.

Chiara, ballerina dai capelli rossi, che spiegava pazientemente le coreografie durante le prove, cercando di fare ballare anche i pali.

Simona ed Elisa, insieme a me denominate “La Vecchia Guardia”.

Simona con il sorriso grande, come grandi gli occhi azzurri di Elisa.

Ed io dietro di loro, tentando di stare al passo. Mia madre, con il modo un pò brusco che ogni tanto la contraddistingue, una volta mi disse: “Se ti metti in fila con i più bravi, tu sfiguri”.

Ma bisogna sempre (in)seguire i più bravi, se si vuole imparare qualcosa, questo l’ho sempre pensato, e continuo a pensarlo.

E pazienza se gli altri ci vedono come goffi ballerini mentre noi ci sentiamo Roberto Bolle.

Come quando vedi le ragazzine un pò in carne strizzate nei corpetti che manco la 38 di Tally Weijl passeggiare a fianco delle amiche alte e spilungone.

Come quando (in Erasmus) a tutte le feste in cui sapevo che era presente, mi esibivo in una serie di pirouette e balletti che neanche Stefano de Martino. Lui era un ragazzo iracheno dalla pelle ambrata, che io ho chiamato impropriamente ed impunemente per sei mesi Caravan, mentre lui si chiamava Karam (ma non potrei giurarci, onestamente).

Avrei potuto anche esibirmi davanti a lui in un triplice salto mortale, non credo proprio che io fossi il suo tipo, anzi che le donne fossero il suo tipo in generale.

Ma era un ragazzo simpatico, sorridente, ed un gran signore.

Un paio di volte accompagno’ me e le mie amiche galline a casa con il taxi, mentre noi ridevamo come ladre, umorali con le nostre pinte di birra che veloci passavano dalla mano alla bocca e poi salivano in testa.

Mi interrogo spesso sulla percezione che gli altri hanno di me, e spero sempre che sia la stessa di come sono io, in realta’.

Ma siamo sicuri che sia così?

Siamo sicuri di essere sempre il 100% di noi, e farlo vedere, quel 100%?

Che lo specchio che ci portiamo dietro in borsetta non nasconda una minuscola crepa e regali un’immagine non vera?

Come quella volta che volevo fare la sborona, Marsa Alam, estate 2009, ed è una cosa che proprio non mi riesce.

Dovevo provare un escursione, la motorata, così andai in giro a menarmela tutta la settimana, faccio di qui, vado di la’.

Come sempre, quando faccio così, Dio mi punisce, dandomi durante la giornata piccoli segni che no, non stavo dando la vera immagine di me.

Per prima cosa, mentre mi preparavo, decisi di fare il bucato. Non mi ero ancora vestita, per cui avevo solo indosso un asciugamano con cui mi ero provvidenzialmente coperta.

Lo staff della maintenance si stave occupando delle staff house, e pertanto vagavano dotati di forbici, tenagli etcc capitanati da Samira, responsabile del front office e mia grande alleata in quella stagione.

Passarono sotto il mio balcone proprio mentre stavo uscendo a stendere pantoloncini e divise.

Io, sempre e solo (ma fortunatamente) avvolta del mio misero asciugamano li salutai, vantandomi di dover andare in escursione appunto, mentre gli altri stavano a crepare sotto il sole, ma mentre lo dicevo, mi tirai dietro in maniera piuttosto vigorosa la porta finestra, che si chiuse e mi chiuse fuori.

Al grido di “Beata te, buona gita”, Samira se ne ando’, troppo in fretta per sentire le mie grida di aiuto, accorgendomi di essere rimasta chiusa fuori e per di più mezza ignuda.

Dopo del tempo che mi parve lunghissimo, riusciii ad attirare l’attenzione di un paio di housekeeping.

Mi diedero una mano a scavalcare il piccolo cornicione del balcone, ed atterrare sulla morbida sabbia.

Non so cosa si dissero, credo si vergognassero per me e per come (non) ero conciata.

Io volevo sprofondare, ma a volte il non capirsi aiuta.

In realtà ero ferma

Dopo essere rientrata fortunosamente in camera, e credo che tutti quelli che passassero di lì abbiano gioito della vista delle mie forme, partii per la motorata.

La moto per me era pesante, tanto che feci rallentare tutta la fila, la guida era nera, proprio lo staff rallentava tutta l’attività, gli ospiti si spazientivano, al che per evitare malumori la guida mi tolse la moto, e mi fece sedere come passeggero dietro di lui.

Dopo un pomeriggio che mi parve interminabile, reso ancora più lungo dalla noia della guida, ritornammo in hotel.

Al mio rientro quando infilai il piede e metà della gamba in una pozza di acqua sporca, tipo fogna, capii che qualcuno mi stava mandando un messaggio. E no, non fu la mia capocentro che mi convocava a cena subito, e pertanto tutta la sera tenni la scarpa sporca e puzzolente di merda. Si, era proprio odore di merda.

Ecco quello che capita, quando la crepa del nostro specchio diventa sempre più lunga, quando vorremmo dare l’immagine di chi vorremmo essere, ma non siamo.

Più sicuri? Più belli? Più topppppppp? Esperti guidatori di moto?

Ieri pioveva, era bella la pioggia controsole, sembravano spilli sulle risaie.

Sono venuti fuori due arcobaleni. Ho strizzato gli occhi, erano proprio due. Non mi capitava dai tempi dell’Erasmus, di vedere due arcobaleni.

Uno era grosso e faceva una bella traiettoria. L’altro lo seguiva dietro, più scolorito, meno violento.

Voleva essere, ma non era. Ed alla fine la differenza del chi siamo fra chi facciamo finta di essere – per convenienza, per finta, perchè ci piace o perchè abbiamo paura di mostrarci realmente – sta tutta lì.

Nelle traiettorie di colore che vedremo alla fine del nostro cammino.

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