Bagordi

Mi sono sempre piaciuti i bagordi, che poi non ho mai capito se sia un piemontesismo o meno.

Mi piace fare tardi, ballare, la musica, il rumore, fare i brindisi.

Mio padre mi ha sempre chiesto: ” Ma tu, hai le chiavi dei locali?”, e mia madre di contro: “E’ proprio figlia tua, il tetto sulla testa non le casca.”

Finite le lezioni all’università, il sabato mattina andavo a dare una mano alla mia amica Marianna che aveva una panetteria, spesso la sera gli open bar ai Docs Dora, o al Cafe’Blue, la domenica non mi facevo trovare a letto, e febbraio era periodo di Carnevale, le sfilate mi vedevano sculettare in seconda fila dietro mia sorella, fra coriandoli, e palloncini e carri più o meno raffazzonati. Meno male che il trucco era parte integrante del vestito, fondotinta come non ci fosse un domani, ombretto viola e bianco, rossetto vivace. Coda su, perché come ci aveva insegnato il truccatore, la bellezza punta verso l’alto.

La domenica si portava dietro la leggerezza dei vent’anni del sabato sera, le gambe che andavano da sole, lo spirito sbarazzino dell’ordine sovvertito, l’ alito che sapeva (a volte) di vodka, come quando partii per la Giordania con due brufoli gemelli grossi come bottoni vicino al mento, io davo la colpa a tutta quella carne e salsine e dolcetti con il miele, ma ovviamente nessuno ci credette, io mi tenni i brufoli, tentando nelle foto di nasconderli con le mani. I bagordi sono stati complici del mio crescere, compagni dei miei furti più riusciti, ma capita che anche i migliori ti lascino al palo.

Voltandomi indietro nella mie fughe di oggi, li cerco e non li vedo, sono (momentaneamente) più distanti e faticosi, impegnativi e fanno un rumore diverso, sembra tendano a dissolversi. Forse sono io che, accelerando malamente, li ho lasciati troppo indietro. Foto risalente al 2010, estate a Creta, schiuma party.