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Bang Bang (My baby shot me down)

Sottotitolo: di come riuscimmo a comprare i materassi, ed il mais, nonostante le afose condizioni meteorologiche

Premetto che il post è stato scritto con l’intento di raccontare, e non è stato riletto. Le parole sono uscite di getto. Non saranno righe da premio Pulitzer, ma questa è la vita. Calda, afosa, noiosa, piena di merda (per molti, non per tutti). Ma è così.

Alle due e mezza di una infernale domenica in questo K., dopo aver raccattato quello che potevamo, tra euro e scellini, programmiamo la toccata e fuga nei vicoli di Malindi per cercare i materassi. Il minivan concordato da 9 posti (abbastanza grande per starci noi con i materassi appunto) ovviamente non arriva, al suo posto una semplice macchina da cinque posti. Chi ben comincia è a metà dell’opera. Dappertutto tranne che in questo posto.
Optiamo allora per il matatu, pulmino di linea dalle molte fermate e dagli innumerevoli posti, si passa da una capienza di dodici/ tredici ad un effettivo riempimento di circa venti, bambini compresi e schiacciati. Qui non si guarda in faccia (a) nessuno.
Per arrivare alla fermata del matatu, dobbiamo prendere due bajaji, 50 scellini per trecento metri. E per rendere le cose ancora più facili, ognuno porta con sé un sacco della spazzatura con asciugamani puliti, da mettere fra il materasso ed i bambini. Contando che non hanno federe, non hanno lenzuola, e non si lavano, ne abbiamo portati circa 40.
Arriviamo alla fermata, carichiamo i due sacchi di asciugamani, ci saranno 40 gradi. Ci sediamo in fondo, non si respira, io scalpito perché voglio partire, ma dobbiamo aspettare che il matatu si riempia, più persone ci sono, più si guadagna, non importa che si mischino i sudori, è un posto che va bene se non ti schifi, perché ti farai venti minuti di strada con il gomito nel costato di quello vicino a te. 80 scellini (meno di 1 euro) per venti chilometri circa.
interno matatu
Fermate infinite, sali scendi, gente scocciata, io che metto fuori la testa dal finestrino e le mie gambe si attaccano alla plastica trasparente dei sedili leopardati.
selfie con Maurizio
Il Pastor ci aspetta a Kiwetanga, gli busso dal vetro perché non ci riconosce, dobbiamo andare insieme a scegliere le cose perché per noi Mzungu i prezzi raddoppiano. Entra, ha pantaloni neri, camicia bianca, una giacca argento gessata bianca. Sembra che arrivi direttamente dalla notte degli Oscar. Sale, ovviamente paghiamo anche per lui, arriviamo a Malindi.
Scendiamo e saliamo su di un tuc tuc. Li abbiamo provati tutti, nello spazio tra Watamu e Malindi. Ci immergiamo nei vicoli, è il caso dirlo, l’acquazzone di sabato in tarda mattinata ha creato grosse e sporche pozze qui e là. Anche se la vita, mesta ed indolente, va avanti.
Giriamo un po’ di negozi, non hanno il senso del business, pur di non farci neanche un po’ di sconto, perché compreremmo tanti materassi, e soprattutto li compriamo per dei bambini, che non ce l’hanno, o che sono devono dormire ammassati per dividere quello che hanno. Nulla da fare, qui come detto, nessuno guarda in faccia nessuno, perché la carità lui sì ed io no? Litigano per una caramella, anche gli adulti. Caino contro Caino. Tutti contro tutti.
Dopoaver girato 4-5 negozi, dagli svogliati proprietari troppo accaldati per prenderci seriamente, due bianchi con la calcolatrice, ed un kenyota vestito ridicolo per la sporcizia che c’è in giro, decidiamo che alla fine il primo è quello che ci è sembrato avesse un prezzo migliore (qualità/ prezzo), per cui torniamo indietro: addirittura un bianco con la moglie in giro per il mercatino ci vede e ci fotografa, come se fossimo così inusuali, in quel posto lì. Alla fine, è lo stesso sguardo che rivolgono molte donne bianche alle altre donne bianche che hanno adottato bimbi kenyoti.

Tiriamo perciò il prezzo, trattando tra le due bancarelle vicine. Vogliamo 15 materassi, di media misura, ci sono quelli grassi come i nostri, ma costano veramente una fucilata, ed i bambini sono tanti. E tutti devono dormire. Mentre contrattiamo, il Pastor dice che ha bisogno anche del mais per fare la polenta. Un sacco di mais 3300 scellini (30 euro mal contati). Qui è sempre così,e nonostante sia un servo di Dio, anche lui non scampa a questa legge: più ti mostri disponibile, più chiedono. Brontolii, rifacciamo i conti, dobbiamo togliere un paio di materassi, scendere con il prezzo. Spuntiamo 100 scellini per materasso, per cui dovremmo riuscire a comprarne 13. Il proprietario va a controllare se ne ha a sufficienza, sarebbe veramente uno smacco ora, ma non accetta gli euro, per cui riprendiamo il tuc tuc ed andiamo in città a cambiare i soldi. Il Pastor fa i capricci, dice che non ha pranzato, vuole la coca cola. Pesta i piedi. Io vorrei prenderlo per il colletto. Sarà il caldo, ma mi dà i nervi, quando fa così.

Ritooti.rniamo al negozio, ma non c’è nessun materasso, il proprietario si è risieduto con lo stuzzicadente in bocca. E sale il nervoso. Mi incazzo e mi faccio portare verso lo “store” dove dicono di avere il resto dei materassi. Li conto uno per uno a voce alta, mentre li carichiamo sopra il tuc tuc. Ed io penso che non ce la faranno mai. Invece, bianca malfidente che non sono altro, gli africani hanno più inventiva che anima.
conta dei materassi

caricamento tuc tuc

Prima di pagare, chiediamo di nuovo un materasso in regalo. Il boss mi dice che lui per materasso ci guadagna solo 50 scellini. Ovviamente non gli credo.

missione compiuta

Carichi e sudati come asini, infastiditi dalle mosche, andiamo a comprare il mais. Non resisto, c’è una bilancia alimentare, mi accovaccio e mi peso 59.70 (vestita per di più). Tutto quel sangue sputato per la strada di Watamu è servito, forse. Il Pastor fa i capricci, dice che vuole l’olio. Noi ci guardiamo avviliti, non abbiamo più soldi, purtroppo sarà per la prossima volta. Avevamo raccolto circa 250 euro, non resta più nulla.
Carichiamo i due sacchi di mais, spostando i sacconi con i 40 asciugamani. Inizia il viaggio di rientro verso l’orfanotrofio, sembra che il tuc tuc non si possa muovere, il Pastor vicino a me sembra non sudi, io credo di sciogliermi come neve al sole. Sulla strada asfaltata sembra che si decolli, poi sterziamo bruscamente e finalmente arriviamo. I bimbi ci corrono incontro, si attaccano a tuc tuc, ridono urlano.
Rinculiamo sotto l’albero, ed i più grandi ci aiutano a scaricare. Faccio il video, che però mi si pianta quando sto per entrare nelle camere, per fare vedere che hanno messo i materassi. Anche le ragazzine in effetti mi si parano davanti. Non vogliono che si vìoli il loro spazio. Hanno ragione.
si scarica

Spostiamo asciugamani e mais in un’altra ala del comprensorio, dove tengono anche le galline, circa un centinaio, ammassate in uno stanzone comunque troppo stretto. Le bambine nella stanza attigua spazzano e ridono. Sto per uscire, e mi accorgo che un po’ di chicchi di mais sono caduti per terra nel trasporto, e le bimbe li stanno raccogliendo con religioso silenzio. Nulla si spreca, tutto serve.

Purtroppo non abbiamo tempo per stare con i bambini, dobbiamo tornare indietro. Riprendiamo il tuc tuc per farci lasciare sulla strada principale, gli diamo 700 scellini (circa 7 euro), ed aspettiamo il matatu, facendo il segno con il pollice. Saliamo, non c’è posto per tutti, e Maurizio deve stare fuori, tenendosi con le mani al bordo del pullmino. Mi sono accorta di avere le caramelle nella borsa, ma di non averle distribuite perché non ne avevo per tutti, così lo faccio sul matatu, anche l’autista è contento.

Dopo venti minuti, di cui quindici passati a spostarsi per fare scendere le persone vicine a me, arriviamo al capolinea, e riprendiamo il bajaji, ci stringiamo e saliamo in due. Ultimi metri.

Siamo sudati, polverosi, impolverati e senza soldi.

Puzziamo anche di pesce, perché la bancarella dei materassi era di fronte a ceste e ceste e ceste di pescetti essiccati e maleodoranti, che hanno tentato di venderci in tutti i modi.

Maurizio mi dice “Grazie per avermi accompagnato”, io sorrido, e guardo il sole che si addormenta pigramente sul Mida Creek.
tramonto sul Mida Creek
Il Pastor, quando ce ne siamo andati, ci ha detto “che Dio vi benedica”. Io non lo so come finirà, ma quando fai del bene, è sempre una buona giornata.
E.

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